Divenuta ormai una
superstar del mondo dell’arte, in grado di spostare masse come una diva del pop,
Marina Abramovic ha, nel tempo, affievolito la
violenza delle performance che negli
anni Settanta l’avevano fatta conoscere come artista,
in cui sfidava
il dolore fisico e
ogni limite del proprio corpo. Ha
accentuato invece
l’aspetto simbolico, la dimensione
teatrale delle azioni, andando oltre il bisogno di affermazione del corpo
soprattutto femminile proprio agli anni della contestazione, per orientarsi verso una ricerca di significati universali. In questo senso,
già la performance con la quale
nel 1997 vinceva il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, Balkan Baroque, in
cui puliva dal sangue e dalla carne un gigantesco
cumulo di ossa per quattro giorni consecutivi, metteva l’artista non solo al centro della sofferenza della sua terra, i Balcani in quegli anni devastati dalla guerra, ma al centro di tutte le guerre,
e di tutte le sofferenze
del mondo. [...]