Presentando una mostra
dedicata alle sue sculture
astratte del 1935 e del 1962 Fausto Melotti scriveva dell’impossibilità per la sua generazione di disporsi alla rappresentazione figurativa del reale,
registrava le molte avventure in cui
le avanguardie si erano cimentate e constatava: “Altre vie si aprono, altri sermoni. Frastornati, assetati di quiete, ci allontaniamo ogni
tanto e assistiamo in segreto all’orfico imeneo della geometria con la poesia. Non
saremo perdonati: saremo
tacciati d’incertezza, d’incoerenza
e alla fine di immoralità. […] Morale
è un’arte che elegge dei limiti e li rispetta. Ma Picasso ignora le barriere”. Ma dopo aver
paragonato i mille travestimenti del pittore spagnolo alle immagini in
rapida successione che appaiono al morente come fossero una ricapitolazione di tutta la sua vita, conclude: “Ecco allora che questa licenza
non appare più tale, ma solo
il tragico monito d’una
prossima catarsi di questa nostra lunga civiltà, e la ‘condizione’ di Picasso, il vagare sempre fuori
dai limiti, come la più sofferta e alla fine la più morale”. [...]