Jorn è uno degli artisti
europei del secondo dopoguerra più inestricabilmente legato
alla storia della pittura italiana
degli anni Cinquanta e Sessanta, per l’esperienza
del Bauhaus imaginiste e dell’Internazionale Situazionista che lo legò
a Pinot Gallizio. E prima ancora,
attraverso il movimento dell’arte nucleare,
aveva conosciuto Enrico Baj. Proprio quest’ultimo, scrivendo un saggio
dedicato all’amico in occasione della mostra Le
Planète Jorn del 2001, ricorda il fondamentale convincimento di Jorn dal quale
discese l’attitudine fondamentale espressa nella sua ricerca
artistica: “L’arte – mi diceva
Jorn – deve comunicare, lanciare dei messaggi, servendosi di espressioni forti,
barbare, violente, vandaliche. L’arte
non è un’immagine piatta – diceva – levigata e lucida, che gli acidi
emozionali non possano
attaccare. Al contrario l’arte graffia e disturba, è stridore, imperfezione e invenzione. Per questo bisogna opporsi
al razionalismo che vuole
invadere dei territori
che non gli appartengono, i territori dell’immaginario”. [...]